1. L' APPRENDIMENTO
1.1. Definizione di apprendimento
Digitando come termine di ricerca su Google "apprendimento" si ottengono la bellezza di 2.960.000 pagine diverse. Questo rispecchia il grande interesse che la tematica dell'apprendimento suscita nei nostri consimili. La storia umana si accompagna da sempre a definizioni di apprendimento che variano di pari passo alle epoche culturali e sociologiche. Per quanto ci riguarda consideriamo l'apprendimento come il processo di acquisizione di conoscenza, di una competenza o di una particolare capacità attraverso lo studio, l'esperienza o l'insegnamento. Ci poniamo, dunque, dalla parte di chi considera l'apprendimento un processo "esperienza-dipendente", in quanto le moderne teorie neuropsicologiche hanno dimostrato che le esperienze influenzano in modo significativo le connessioni neuronali dell'individuo modificando quindi le sue strutture cerebrali.
Se prendiamo in considerazione il punto di vista strettamente psicologico, possiamo affermare che l'apprendimento è una funzione adattiva del comportamento di un soggetto, risultante da una esperienza, quindi l'apprendimento è un processo attivo di acquisizione di comportamenti stabili in funzione dell'adattamento. Apprendere è adattarsi.
Questi due aspetti, l'importanza dell'esperienza e l'adattamento, ci portano subito a riflettere sul fatto che l'apprendimento in sostanza sia sempre legato ad un cambiamento. Noi tutti sappiamo che anche il normale processo di maturazione dell'individuo è un cambiamento, quello che distingue l'apprendimento dalla maturazione sono gli stimoli influenzanti che nella maturazione sono interni, nell'apprendimento sono esterni. Quindi se in una ottica specie-specifica la maturazione tenderebbe a omogeneizzare gli individui di una stessa specie, l'apprendimento è in sostanza un processo di diversificazione tra gli individui.
Rispetto a queste considerazioni si deve tenere conto che cambiamenti del potenziale comportamentale a breve termine, come ad esempio la stanchezza, non costituiscono "apprendimento" e viceversa alcuni cambiamenti a lungo termine non dipendono dall'apprendimento ma dalla maturazione.
Quali stimoli esterni influenzano maggiormente l'apprendimento?
Per rispondere teniamo come punto di riferimento una indagine di Murgio che riporta i seguenti risultati:
"L'apprendimento nell'uomo avviene per circa l'83% attraverso la vista, soltanto per il 10% dall'udito, il resto dagli altri sensi. [..] un soggetto ricevente ricorda in media il 10% di ciò che legge, il 20% di ciò che ascolta, il 30% di ciò che vede e il 50% di ciò che contemporaneamente vede e ascolta."
(Matthew P. Murgio, Communication graphics, 1969)
Quando è, nel nostro sviluppo, che si inizia ad apprendere? Potremmo dire "sin dall'inizio" in quanto il neonato apprende in modo inconscio ad adoperare il proprio corpo e il linguaggio. L'apprendimento diventa intenzionale dal momento in cui sono disponibili:
- maggiore capacità di immagazzinamento delle informazioni
- strategie di memoria sviluppate
- metacognizione, capacità di riflettere sul proprio modo di pensare
1.2 Teorie di riferimento per l'apprendimento
Le principali teorie dell'apprendimento si rifanno ai tre paradigmi che da sempre si contendono: comportamentismo, cognitivismo e costruttivismo. Cerchiamo di fare una breve panoramica per comparare gli aspetti comuni e i fattori di differenziazione, convinti che nessuno dei tre possa essere completamente rifiutato.
1.2.1 Comportamentismo o Behaviorismo
Il primo approccio comportamentista di studio dell'apprendimento fu il cosiddetto apprendimento di tipo associativo per contingenza temporale (o condizionamento rispondente, o altrimenti detto condizionamento classico) di Ivan Pavlov. Questo approccio studia il processo dell'apprendimento mediante l'associazione stimolo-risposta, e ne rappresenta la forma più semplice. Pavlov studiò il condizionamento rispondente osservando in laboratorio una reazione di salivazione di un cane, non solo di fronte al cibo, ma anche in conseguenza al suono del campanello che introduceva il cibo. L'elemento centrale di questo modello è l'associazione di uno stimolo condizionato (per sua natura neutro e non rilevante, come per esempio il suono di un campanello) ad una risposta riflessa (salivazione per il cibo, detta risposta incondizionata, poiché è innata, e non deve essere appresa). Il cibo rappresenta invece lo stimolo incondizionato, poiché è l'elemento che causa la risposta (stimolo) naturale spontanea, non appresa (incondizionato). Se tale associazione avviene in un breve lasso di tempo, questo porta ad una risposta condizionata (salivazione) anche di fronte allo stimolo condizionato (campanello) e non solo allo stimolo incondizionato (cibo).
Attraverso questi studi, Pavlov delineò una curva di apprendimento (forza del condizionamento in asse verticale per numero di associazioni stimolo condizionato-stimolo incondizionato in asse orizzontale) dal profilo tipico, entro la quale prima l'apprendimento aumenta rapidamente dopo l'esposizione a poche associazioni, poi si stabilizza, mentre le associazioni successive influiscono sempre meno. La caratteristica che distingue questi studi dai processi mnestici identificati da Ebbinghaus è il fatto che Pavlov applica il suo apprendimento rispondente a dati sensoriali e non verbali.
Attraverso l'associazione stimolo-risposta, è possibile costruire lunghe catene di condizionamenti, per esempio uno stimolo condizionato associato ad uno stimolo condizionato, associato ad uno stimolo condizionato, e così via, finché non si arriva alla parte terminale della catena, sempre rappresentata da uno stimolo incondizionato.
1.2.2 Istruzione programmata di Skinner
Il condizionamento operante funziona in base al principio dell'apprendimento strumentale. Un essere vivente impara che le sue azioni hanno determinate conseguenze. Il piccione affamato impara a premere una leva per l'alimentazione del cibo quando compare un determinato simbolo. La ricompensa sotto forma di un chicco di mangime non fa che corroborare questo comportamento. Il principio dell'apprendimento strumentale è soggetto anche all'istruzione programmata, poiché (grazie all'istruzione) si rafforza il comportamento di apprendimento desiderato. Negli anni '60 grazie all'avvento e all'evoluzione del computer si è applicata la teoria di Skinner anche ai programmi di studio che negli USA hanno trovato una larga diffusione sino alla fine degli anni '70.
Questo condizionamento è detto operante perché basato su operazioni legate ai muscoli volontari. In questo caso infatti l'apprendimento non avviene a livello di riflessi come nel condizionamento rispondente, ma di operazioni motorie più complesse.
Una particolare tecnica di apprendimento, detta modellamento (in inglese shaping) è stata sviluppata a partire dal condizionamento operante di Skinner. Questa tecnica, largamente testata sull'apprendimento dell'uomo risulta utile per modificare gradatamente un comportamento. La prima volta viene premiato (attraverso un rinforzo positivo) un comportamento che si avvicina gradualmente a quello che si vuole sviluppare (anche se solo approssimativo), la seconda solo le esecuzioni che progrediscono in una situazione più corretta, la terza si premiano solo le prestazioni ancora più corrette, e così via. È importante, per sviluppare uno shaping efficace, che i rinforzi siano continui. Sono tuttavia possibili anche rinforzi intervallati, ma essi risultano più utili per riapprendere comportamenti già appresi. In ogni caso risulta fondamentale che sia premiato sempre lo stesso comportamento.
Gli studi sul modello del condizionamento operante, hanno, in estrema sintesi, portato a postulare una serie di condizioni che rendono più efficace l'apprendimento:
- L'apprendimento è più veloce se il rinforzo segue immediatamente la prestazione motoria.
- Il rinforzo ad intervalli costruisce un apprendimento meno veloce, ma tende ad essere più stabile nel tempo
- Il rinforzo positivo, a parità di tempo, è più valido ed attivo del rinforzo negativo
- La forza del condizionamento è maggiore se si alternano le sedute di addestramento ad altre attività
- Rinforzi incoerenti a comportamenti simili tra loro sono il punto di partenza per stati di impotenza appresi e nevrosi
È vero però che, trascorso del tempo in cui allo stimolo non corrisponde un rinforzo, l'apprendimento acquisito dall'animale scompare. Ciò perché nell'apprendimento è necessaria continuità, ripetitività ed esercitazione.
Programmi drill and practice
Si tratta di sistemi che sfruttano le possibilità interattive offerte dalla tecnologia per lo sviluppo e la routinizzazione di specifiche tecniche relative ad un certo ambito disciplinare (ad esempio la tecnica relativa all'uso dei verbi riflessivi in lingua italiana). Si tratta in genere, di sistemi sviluppati per scopi addestrativi che propongono una serie di esercizi omogenei, i quali, molto spesso, per favorire la motivazione, sono inseriti in contesti di tipo ludico (specie quelli destinati ai livelli scolari bassi). Più in particolare, questi sistemi drill and practice propongono batterie di esercizi per la cui soluzione occorre saper impiegare una specifica tecnica. Mentre con il modello dell'istruzione programmata vengono introdotti nuovi contenuti didattici, i cosiddetti programmi "drill and practice" sono finalizzati a esercitare le nozioni acquisite. Oggi gli elementi "drill and practice" sono inseriti ad esempio nei programmi di studio delle lingue. Un esempio: in un'esercitazione sui vocaboli vengono visualizzati termini sullo schermo. L'esercizio consiste nel riconoscere gli eventuali errori di ortografia. I vocaboli sbagliati devono essere cancellati velocemente facendo clic con il mouse. In questo modo si sommano punti contro il tempo. Il grado di difficoltà e il tempo possono essere adeguati alle capacità individuali.
1.2.3 Cognitivismo
L'approccio cognitivista prende le distanze dai modelli associazionisti del comportamentismo spostando il focus dal concetto di associazione a quello di rappresentazione, come in parte anticipato da Tolman con il concetto di mappe cognitive.
L'innovazione principale del cognitivismo è quella di esaltare il ruolo attivo del soggetto nella elaborazione della realtà circostante, dando maggior rilievo ai processi interni di elaborazione e rappresentazione.
Le teorie classiche (pre-cognitivismo) dell'apprendimento vengono interpretate in un'ottica alternativa (Rescorla, 1988) nella quale risulta avere un ruolo centrale il concetto di "aspettativa". La mente formulerebbe quindi in continuo ipotesi circa il verificarsi di determinati eventi sulla base delle conoscenze pregresse e cercando conferme ad esse nell'interazione con l'ambiente.
E' bene notare, inoltre, che con l'affermarsi del cognitivismo lo studio dell'apprendimento subisce una radicale trasformazione rispetto alla tradizione precedente. Se nella prospettiva comportamentista l'apprendimento viene studiato attraverso il comportamento manifesto e trattato come un fenomeno "unitario", nella nuova prospettiva cognitivista si osserva una frammentazione dell'ambito di indagine e l'apprendimento viene ridefinito in relazione alle diverse componenti cognitive coinvolte. In particolare, si verifica una forte associazione tra lo studio dell'apprendimento e quello della memoria, in quanto, per poter imparare, è innanzitutto necessario saper codificare, immagazzinare, integrare e ricordare'nformazione. Diventa particolarmente importante in questo contesto il concetto di schema, inteso come struttura di conoscenza che guida il processo di elaborazione e viene a sua volta aggiornato in base alle nuove informazioni in entrata, in un processo costruttivo e dinamico.
La modalità attraverso la quale le conoscenze già possedute da una persona (schemi, concetti, teorie ecc.) influenzano l'acquisizione di nuove conoscenze viene definita "top-down" (dall'alto al basso), viceversa, la modalità in cui invece è la realtà percepita che attiva processi cognitivi di apprendimento o revisione di schemi precedenti è definita "bottom-up" (dal basso verso l'alto).
Emergono nel cognitivismo innumerevoli ulteriori specificazioni dell'apprendimento che coinvolgono altri processi cognitivi e abilità.
Imparare a leggere, per esempio, implica l'integrazione di abilità linguistiche, mnestiche e percettive; saper guidare un'automobile significa avere buone abilità di integrazione visuo-motoria, e capacità attentive; l'apprendimento in ambito scolastico richiede sia competenze specifiche, come il calcolo e la lettura, sia competenze generali, come quelle di applicare strategie, fare inferenze e mettere in atto processi di astrazione.
Da un lato si assiste dunque ad un vasto sviluppo di modelli di apprendimento specifici, dall'altro vengono definiti modelli generali di funzionamento della mente, che hanno forti implicazioni per l'apprendimento anche se non sono modelli o teorie specifici dell'apprendimento.
Un altro aspetto che è bene ricordare è che il primo approccio allo studio dell'apprendimento in ambito cognitivista, che aveva come oggetto lo studio dell'elaborazione umana dell'informazione (paradigma delloHuman Information Processing), è stato fortemente influenzato dalla metafora mente-computer. Questo ha portato tra gli anni '70 e '80 allo sviluppo di modelli di apprendimento, articolati in una serie di passaggi (regole di produzione) rigidi, con strutture gerarchiche simili a quelle di un programma implementabile in un computer. J.R. Anderson (1983, 1995) per esempio sulla base di un modello di questo tipo (Adaptive Control of Thought, ACT) ha sviluppato programmi informatici per la didattica, nei quali lo studente è invitato a seguire determinate procedure per apprendere e il computer, che ha in memoria le medesime regole, fornisce suggerimenti o corregge il soggetto ogniqualvolta commette un errore.
Un importante punto di svolta nello studio dell'apprendimento e dei processi cognitivi più in generale è costituito dall'introduzione della teoria modulare di J.A.Fodor (1983, 2001).
Non approfondiremo questa ipotesi teorica che è molto complessa, ma è importante tuttavia richiamare l'importanza per la spiegazione del funzionamento della mente, della distinzione di base proposta da Fodor, tra abilità specifiche, definite "modulari", e abilità generali legate ai processi di pensiero superiori. I sistemi sensoriali inviando lo stimolo distale rilevando l'ambiente. Gli stimoli vengono elaborati ad un primo livello e sono descritti come innati, altamente specializzati ed efficienti, poco flessibili ma molto veloci nell"elaborazione delle informazioni ed "informazionalmente incapsulati" (non hanno cioè accesso ai contenuti e alle informazioni provenienti da altri moduli). Viene postulato inoltre un processore centrale, più lento nei processi di elaborazione ma più flessibile, che riceve dati dai moduli ed ha la funzione di integrare e interpretare le informazioni specifiche.
Più recentemente, il modello modulare ha dato origine a critiche e revisioni, in parte da parte dello stesso Fodor (2001), in parte dallo sviluppo di modelli alternativi. Karmiloff-Smith (1992) propone il modello di Ridescrizione Rappresentazionale che si discosta dalla teoria modulare classica in quanto sostiene che non esiste un sistema centrale vero e proprio quanto piuttosto un processo detto di Ridescrizione Rappresentazionale, che si evolve e modifica nel tempo con lo sviluppo. L'autrice sostiene che i sistemi di elaborazione modulare non siano innati ma si modifichino e si "modularizzino" con lo sviluppo. Mike Anderson (1992), nel modello della Minima Architettura Cognitiva, introduce il concetto più flessibile di "processori specifici" (ad esempio, per la comprensione dello spazio) che mantengono la specificità funzionale dei moduli, ma non sono completamente isolati rispetto al funzionamento cognitivo generale. Le facoltà orizzontali, deputate all'integrazione delle informazioni che derivano dai processori specifici, sarebbero invece determinate da un Meccanismo di Processamento di Base (BPM) che si esprime primariamente in termini di velocità di elaborazione e può variare da individuo a individuo dando origine a differenze individuali in termini di abilità intellettive. Una lentezza di funzionamento del BMP potrebbe quindi, in alcuni casi, ostacolare lo sviluppo dei processi specifici, che da esso in parte dipendono.
In sintesi possiamo concludere che l'approccio cognitivista ha completamente modificato il metodo di studio nell'ambito della psicologia dell'apprendimento. Inoltre, le formulazioni teoriche sviluppate in relazione ai diversi sottosistemi di apprendimento hanno permesso di individuare quali fossero le varie componenti cognitive deficitarie nei diversi profili dei disturbi di apprendimento fornendo quindi un importante contributo anche all'ambito clinico.
Potremmo individuare nella figura sottostante un buon riassunto dei processi considerati dall'approccio cognitivista e del loro relazionarsi con la memoria a Breve e Lungo Termine.
1.2.4 Costruttivismo: apprendimento situato
Considerando il paradigma cognitivo sorge la domanda se sia possibile organizzare la conoscenza in maniera adeguata per tutti i discenti. Inoltre, la conoscenza sul sapere mediato ha provocato altre critiche al cognitivismo.
Per sapere mediato si intende la conoscenza appresa in "classe", ma non applicabile "fuori". Questo tipo di conoscenza è molto diffuso. La discente di dodici anni che si dedica al bricolage ha appreso teoricamente durante la lezione di geometria come calcolare la larghezza del tetto della sua casetta per gli uccelli. Ma, in laboratorio, "proverà finché funziona". Il problema si presenta in tutti i gradi di studio ed è noto anche nelle scuole superiori e nei corsi di perfezionamento.
Per il paradigma costruttivista l'elaborazione della conoscenza è considerato un processo costruttivo soggettivo. In questo modo viene legata al contesto, ossia alla situazione, in cui viene acquisita. Mettendola in relazione alla conoscenza contestuale, la conoscenza dichiarativa e procedurale viene "situata". L'apprendimento è quindi un processo attivo, autoregolato, costruttivo, situato e sociale (cfr. Gerstenmeier & Mandl 1995). I modelli di insegnamento e apprendimento costruttivisti richiedono pertanto un apprendimento situato. Nell'organizzazione didattica devono essere considerati i seguenti aspetti (secondo Kerres 2001, p.79):
- la rappresentazione di realtà complesse, sociali (in luogo di contenuti astratti)
- le attività autentiche dei discenti (in luogo delle attività degli insegnanti)
- la presentazione di prospettive multiple (in luogo di quelle semplici) di problemi.
Consideriamo 3 approcci che incorporano quanto esposto:
- Approccio "anchored instruction" (istruzione ancorata)
- Approccio "cognitive flexibility" (flessibilità cognitiva)
- Approccio "cognitive apprenticeship" (apprendistato cognitivo)
Pone al centro la soluzione di problemi significativi in contesti il più possibile autentici. Nei cosiddetti "ambienti di apprendimento generativi" sono i discenti ad acquisire le conoscenze e ad applicarle immediatamente negli esercizi.
Evidenzia la multiprospettività e i contesti multipli. Il materiale didattico deve essere presentato da prospettive il più possibile differenti e con nessi diversi, per consentire successivamente il transfer delle conoscenze in situazioni desuete.
Trasferisce il tradizionale apprendistato di artigiano come modello ai contenuti didattici cognitivi. L'apprendistato dell'artigiano è caratterizzato dal fatto che gli apprendisti(novizi) prima osservano il maestro (esperto), per poi affrontare e risolvere compiti sempre più difficili, man mano facendo a meno dell'assistenza da parte del maestro. In questo approccio si tenga conto che da un lato la conoscenza strategica degli esperti è fortemente legata alle situazioni, dall'altro i novizi comprendono i processi cognitivi "situazionali" con molta difficoltà finché non li hanno sperimentati direttamente.
1.3 Il paradigma cognitivista: l'apprendimento come processo
Prendiamo in considerazione in maniera più approfondita il paradigma cognitivista per andare a considerare i processi di elaborazione dell'informazione che consentono all'individuo di apprendere e gestire attività cognitive complesse quali l'uso del linguaggio, il comprendere, il ricordare, il ragionare, il risolvere problemi, ovvero i processi costruttivi, strategici e metacognitivi.
Processi costruttivi
L'acquisizione di una nuova conoscenza è il risultato di una costruzione personale di chi apprende: egli utilizza le sue strutture di conoscenza precedenti (i suoi schemi cognitivi) per dare senso e rielaborare le nuove informazioni in arrivo e ricomporle in una rappresentazione più accurata, articolata e complessa.
Processi strategici
Per affrontare un compito o per raggiungere un obiettivo, chi apprende deve mettere a punto, scegliere e adattare flessibilmente i metodi - le strategie - che risultano particolarmente efficaci in quella particolare situazione.
Processi metacognitivi
Per riuscire a fare un uso esperto e maturo delle conoscenze che costruisce e delle strategie che utilizza chi apprende sviluppa con l'età e con le esperienze di apprendimento una più ampia consapevolezza metacognitiva e un più efficace controllo esecutivo.
La consapevolezza metacognitiva riguarda il "sapere come si conosce", ossia la capacità di tenere conto delle caratteristiche del compito, dei propri processi e attività cognitive, delle possibili strategie di soluzione; il controllo esecutivo si riferisce agli interventi di regolazione attivati da chi apprende per monitorare e migliorare la propria attività cognitiva. Gli obiettivi principali di tali studi e delle pratiche educative che ad essi si ispirano puntano a mettere in grado chi apprende:
- di rielaborare i diversi domini di conoscenza fino a farne propri strumenti di pensiero;
- di imparare ad imparare, cioè a farsi carico del proprio apprendimento e a gestirlo in maniera autonoma.
Legati a queste tre tipologie di processi, esistono per il cognitivismo tre metodologie di apprendimento ben diverse:
1.3.1 L'apprendimento come processo costruttivo
Le conoscenze che a mano a mano un individuo costruisce sono mantenute in memoria in strutture organizzate denominate: schemi, scripts, frames.
Gli schemi sono pacchetti organizzati di conoscenze nei quali singole unità di informazione sono riunite e strutturate insieme da relazioni logiche e spazio-temporali; vengono ricavati per astrazione grazie al presentarsi ripetuto, nella esperienza di una persona, di informazioni o di situazioni che presentano sostanziali analogie.
Gli schemi sono composti da alcune variabili (persone, eventi, entità astratte), dalle relazioni fra le variabili, dai vincoli che specificano quando uno schema è applicabile. Ad esempio nello schema "comprare":
- variabili:"venditore", "compratore", "merce", "denaro";
- relazioni: la merce passa dal venditore al compratore, che in cambio gli dà del denaro;
- vincoli : l'azione di "comprare" si può svolgere solo fra esseri umani, il valore della merce e la quantità di denaro necessario per acquistarla sono correlati
Quando uno schema può essere applicato con successo a nuovi eventi o a nuove informazioni, facilita la loro interpretazione, aiuta a individuarne i principali elementi costitutivi, consente di fare inferenze e di completare in maniera strutturata il quadro, spesso frammentario, delle informazioni disponibili (accrescimento).
Quando uno schema risulta solo parzialmente adatto ad interpretare nuovi eventi o nuove informazioni può venire modificato o articolato per renderlo più efficace (sintonizzazione);
Quando, infine, uno schema si rivela inadeguato o insufficiente per comprendere nuove informazioni, se ne può creare uno nuovo, che tuttavia deve essere connesso e integrato con gli schemi precedenti, che a loro volta possono venire modificati (strutturazione).
Uno script è un particolare tipo di schema che si riferisce a situazioni o attività ricorrenti, in esso azioni ed eventi sono organizzati prevalentemente secondo relazioni spaziali e temporali. Lo script svolge funzioni analoghe a quelle degli altri tipi di schema.
- proporre obiettivi significativi per i discenti
- fare emergere le conoscenze precedenti e porle come base per l'apprendimento
- incentivare la capacità di rendere espliciti i processi di pensiero e di costruire relazioni fra le conoscenze;
- promuovere la capacità di autovalutazione.
1.3.2 L'apprendimento come processo strategico
Quando una persona si impegna in un compito o in una attività deve scegliere, utilizzare, adattare o mettere a punto delle strategie, cioè dei metodi particolari di gestire i suoi processi cognitivi in vista di raggiungere nella maniera più efficace l'obiettivo che sta perseguendo. Una persona inesperta o principiante per affrontare un compito ha a disposizione una gamma di strategie piuttosto ridotta, ne fa un uso poco controllato e consapevole, tende a giungere al più presto e in maniera talvolta sommaria ad eseguire il compito. Viceversa una persona esperta in un compito ha a sua disposizione molte strategie, sceglie quelle più adatte all'obiettivo, al compito, al tempo a disposizione, alle sue caratteristiche cognitive; se è necessario passa flessibilmente da una strategia all'altra o le adatta per renderle più efficaci. In altri termini le sue attività strategiche sono guidate, consapevoli, sottoposte a controllo.
Questo non esclude che una persona esperta, quando affronta un compito molto familiare, metta in atto dei processi strategici automatici: essi sono rapidi, non richiedono grandi risorse attentive e si apprendono attraverso l'esercizio ripetuto di strategie, che inizialmente erano state messe a punto in maniera consapevole e attenta.
Le strategie non sono una dotazione stabile dell'individuo, ma evolvono con l'età, la conoscenza delle situazioni e le esperienze: si possono, cioè insegnare e apprendere. Tuttavia le persone inesperte non possono essere addestrate meccanicamente all'uso di nuove strategie, altrimenti corrono il rischio di non comprenderne il senso e l'utilità e di non saperle scegliere e gestire con consapevolezza e flessibilità.
Considerando la situazione di aula, cosa possiamo fare per massimizzare questo tipo di apprendimento?
- orientare le pratiche didattiche e l'apprendimento dei discenti verso obiettivi di processo e non solo di prodotto;
- proporre l'uso di strategie quando si affrontano davvero gli specifici problemi;
- presentare le strategie come modalità di funzionamento cognitivo e non come contenuti da apprendere;
- mostrare il funzionamento delle strategie e le modalità di applicazione;
- alleggerire mediante facilitazioni procedurali il carico esecutivo dell'alunno ancora poco esperto
- far constatare ai discenti l'evoluzione delle loro strategie
1.3.2 L'apprendimento come processo metacognitivo
Nella prospettiva cognitivista chi apprende dovrebbe giungere a farsi carico del proprio apprendimento e a gestirlo in maniera flessibile e autonoma, grazie al progressivo sviluppo di processi metacognitivi, che si attuano su due versanti complementari:
- la consapevolezza (o conoscenza) metacognitiva
- il controllo esecutivo
La consapevolezza metacognitiva consente di rappresentarsi:
- le caratteristiche del compito da affrontare;
- le strategie che si possono usare;
- il proprio funzionamento mentale nei confronti di quel particolare compito.
Le conoscenze metacognitive sono spesso intrecciate con convinzioni e credenze personali, fino a costituire delle "teorie" personali, informali ed implicite sui processi di apprendimento; tali "teorie" sono spesso connotate da una notevole tonalità affettiva ed emotiva, sono resistenti al cambiamento, fungono da filtro nei confronti dei processi di apprendimento, ne influenzano l'orientamento.
Il controllo esecutivo riguarda gli interventi di pianificazione, di monitoraggio e di regolazione attivati da chi apprende nei confronti dei processi cognitivi necessari per eseguire con efficacia un compito o per risolvere un problema.
- la predizione consente di stimare in anticipo la natura di un compito, il probabile livello di prestazione che si può raggiungere, le difficoltà che si possono incontrare, l’efficacia di una certa strategia;
- la pianificazione permette di organizzare al meglio le strategie utili per conseguire un certo obiettivo;
- il monitoraggio giunge a controllare progressivamente, nelle singole fasi, la realizzazione di un piano di strategie cognitive, per continuarle, calibrarle meglio, cambiarle, sospenderle o terminarle.
- la valutazione mette alla prova una strategia nella sua globalità e valuta la sua efficacia per riutilizzarla, modificarla o abbandonarla.
Considerando la situazione di aula, cosa possiamo fare per massimizzare questo tipo di apprendimento?
Si possono individuare quattro aree principali di intervento didattico di taglio metacognitivo:
a) Conoscenze generali sul funzionamento cognitivo: il docente fornisce, direttamente o indirettamente, informazioni su come si realizzano i processi cognitivi dandone esempi nel corso di attività reali di apprendimento e mettendo in risalto i fattori che facilitano o ostacolano il raggiungimento di prestazioni adeguate.
b) Consapevolezza del proprio funzionamento cognitivo: il docente crea i contesti, le attività, le occasioni per aiutare il discente a prendere contatto con i propri processi cognitivi e ad analizzarne i punti di forza e di debolezza.
c) Uso sempre più ampio di strategie di autoregolazione cognitiva:
Il discente viene stimolato e guidato a:
- proporsi un obiettivo chiaro e significativo, relativo allo svolgimento efficace di un processo cognitivo;
- darsi istruzioni e suggerimenti sul modo di svolgere in maniera efficace le operazioni implicate nel processo in corso;
- monitorare l'andamento della realizzazione delle varie fasi del processo, domandandosi se si sta andando nella giusta direzione, oppure se sia necessario aggiustare il tiro, rivedere gli obiettivi o modificare le strategie adottate;
- fare un bilancio sui risultati ottenuti, per ricavarne una maggiore consapevolezza della efficacia - o meno - di una certa strategia per raggiungere un obiettivo in determinate condizioni.
d) Rafforzamento dell'orientamento motivazionale positivo
Il successo dell'intervento didattico a livello metacognitivo dipende in larga misura da un intervento anche a livello motivazionale, che assicuri una adeguata presenza nel discente di:
- significato, importanza, valore degli obiettivi che si propone di raggiungere;
- teoria incrementale dell'intelligenza;
- stile attribuzionale costruttivo;
- senso di autoefficacia e autostima;
- positiva autopercezione di competenza.
1.4 Considerazioni sui correlati dell'apprendimento
Ci sentiamo di condividere la visione per cui l’apprendimento è la modificazione attraverso l’esperienza del comportamento, sebbene il comportamento non sia essenziale perché l’apprendimento si verifichi.
La ritenzione dell’informazione fattuale o della conoscenza, normalmente classificata come memoria semantica, che costituisce il nocciolo di ciò che la maggior parte degli studenti viene incoraggiata ad imparare, ci sembra riduttiva se inserita nel contesto della formazione degli adulti e soprattutto se si vanno a vedere poi i correlati professionali.
L’apprendimento procedurale sembra separabile dalla capacità di apprendere e ricordare episodi ed eventi, poiché l‘acquisizione di nuove capacità procedurali può rimanere intatta in pazienti gravemente amnesici.
Possiamo, per esempio, sapere andare in bicicletta senza avere cognizione piena della nostra conoscenza e possiamo invece conoscere tutte le regole degli scacchi senza saper giocare a scacchi.
Riteniamo inoltre che il termine apprendimento possa essere legittimamente usato per ciascuna delle 4 aree: ricordare un fatto, acquisire nuove informazioni, padroneggiare nuove abilità, sviluppare nuove abitudini e che sia solo l'efficacia dei vari tipi di apprendimento a fare la differenza.
1.4.1 Attenzione e apprendimento
Ovviamente nel momento in cui si debbano acquisire delle nuove informazioni è necessario innanzitutto che si presti attenzione (a questo scopo nella progettazione dei corsi ha particolare rilevanza l'interattività con i discenti che innalza la curva di attenzione); in secondo luogo si deve fare un po' di pratica (a questo mirano esercitazioni e role playing); il materiale deve infine essere organizzato in relazione alle conoscenze preesistenti per poi arrivare alla fase conclusiva del consolidamento della traccia sebbene questa fase non sia sotto il controllo diretto del soggetto.
Quando diciamo che si deve prestare attenzione crediamo di dire una banale verità, d'altro canto esistono delle situazioni dove sembra vero il contrario.
Ricerche sull'apprendimento durante il sonno suggeriscono che se si trasmettono delle informazioni al soggetto mentre dorme e la mattina successiva si pongono delle domande riguardanti ciò che gli è stato presentato durante la notte, il soggetto sembra ricordare solo una piccola parte dell'informazione. Però noi non dormiamo sempre profondamente per tutto il corso della notte e alcuni studi, che hanno monitorato la profondità del sonno, suggeriscono che l'apprendimento si realizza principalmente durante brevi periodi di relativo stadio di veglia (Simon e Emmons [1956]).
Un risultato simile è osservabile anche quando l'attenzione viene distratta dal materiale da apprendere dando ai soggetti due messaggi uditivi simultanei ed istruendoli a ripeterne uno e ignorare l'altro.
Naturalmente l'attenzione non è qualcosa che semplicemente è presente o assente. Che cosa accade quando l'attenzione è divisa tra due o più fonti di informazione? Si osserva quello che viene postulato dalla legge di Hick: la richiesta attentiva di un compito da eseguire aumenta linearmente con il logaritmo del numero di alternative (Hick 1952).
Dobbiamo considerare delle eccezioni alla generalizzazione dell'idea che l'attenzione sia necessaria per la memoria come nel caso della percezione subliminale e del ricordo sotto effetto di anestesia.
Ci sono dei dati che sembrano infatti confermare che pazienti sotto una anestesia leggera elaborino l'informazione uditiva e anche se questa non viene subito ricordata può però successivamente influenzare il soggetto.
L'efficacia di questo tipo di apprendimento rimane comunque molto bassa.
Tutto sommato sembra che, nonostante alcuni casi problematici di ricordo relativo ad informazioni a cui non si è prestata attenzione, un apprendimento significativo lo si ottenga solo con la focalizzazione dell'attenzione.
1.4.2 Motivazione e apprendimento
Domandandoci cosa possa influenzare l'attenzione del soggetto, ci siamo trovati di fronte al concetto di "motivazione" perché essa probabilmente influenza la disponibilità del soggetto a prestare attenzione al materiale da apprendere, specialmente quando il materiale da apprendere risulta molto oneroso in termini di quantità di tempo da dedicare all'apprendimento (Nilsson 1987).
Un'altra situazione in cui la motivazione è probabilmente di grande importanza è nella memoria prospettica, cioè nel ricordarsi di fare delle cose.
Come già mostravano gli esperimenti di Mandler (Mandler, 1967), anche secondo noi il fattore critico sembra essere il come viene elaborato il materiale da ricordare e non il perché venga elaborato. In questo senso perde di interesse il concetto di intenzionalità, venendo a creare uno spiraglio per cui anche il discente inviato a seguire un corso, che non sceglie quindi individualmente di apprendere, possa fruire al massimo dell'esperienza di aula se i contenuti da apprendere presuppongono una consona elaborazione da parte sua e se questa elaborazione è incoraggiata, stimolata ed avviata dal docente.
L'intenzione di imparare quindi aiuta solo nella misura in cui incoraggia il soggetto a prestare attenzione al materiale ed elaborarlo nel modo più appropriato.
Come fare in modo che l'elaborazione avvenga?
Hasher e Zacks [1979; 1984] hanno suggerito che alcune caratteristiche dell'ambiente, come la localizzazione spaziale degli oggetti e la frequenza con cui si verificano certi eventi, vengono immagazzinate automaticamente. Un'informazione, cioè, viene codificata senza che vi sia uno sforzo deliberato e non viene meglio ritenuta se il soggetto fa uno sforzo per ricordarla rispetto a quando viene raccolta incidentalmente.
Di particolare interesse dunque per il progettista della formazione la piena consapevolezza e confidenza con quei fattori che possono andare ad influire sulla motivazione dei discenti e con le modalità di aula volte a rilevare la motivazione e a gestire i gap eventualmente rilevati.
1.4.3 Pratica e apprendimento
Secondo i nostri antenati, la pratica, la ripetizione e la frequenza stanno alla base dell'apprendimento. Sebbene non sia vero che l'apprendimento richieda necessariamente tempo e fatica, siamo consapevoli, dopo anni di erogazione di formazione agli adulti, che alcuni tipi di sforzo sono più proficui di altri.
Condividiamo pienamente in questo senso il concetto di distribuzione della pratica di Ebbinghaus [1985]: fermo restando che più esercizio significa più apprendimento, la relazione tra i due non è lineare, anzi è meglio distribuire nel tempo le prove di apprendimento, piuttosto che raggrupparle tutte in un'unica sessione.
Nella progettazione dei percorsi formativi sono dunque da tenere presenti due principi fondamentali dell'apprendimento:
1. Ipotesi del tempo totale (total time hypotesis), secondo cui la quantità di materiale appreso è diretta funzione del tempo dedicato all'apprendimento
2. Una pratica distribuita è più efficace di una pratica intensiva.
Proviamo a chiarire alcuni punti dell'ipotesi del tempo totale:
Si riferisce al tempo attivamente speso nell'apprendimento
È da tenere presente il tipo di elaborazione di volta in volta necessaria. Alcune strategie di apprendimento sono migliori di altre e di conseguenza non ci si può aspettare che l’ipotesi del tempo totale sia valida anche quando differenti quantità di tempo implicano differenti strategie.
Una importante eccezione si trova nell'effetto di pratica distribuita
Il processo di apprendimento a lungo termine dipende da cambiamenti fisici nel cervello. Queste mutazioni dipendono a loro volta dall’attività neurochimica, che può temporaneamente consumare la disponibilità di certi mediatori che si rigenerano spontaneamente nel tempo [Kopelman, 1985]. Se si assume che l’apprendimento di un compito particolare pone delle richieste particolari ad una specifica parte del cervello, allora è possibile che l’apprendimento intensivo non sia ottimale poiché non dà tempo sufficiente allo stato chimico sottostante di rigenerarsi. Se questo tipo di rigenerazione avviene in un periodo di ore piuttosto che di secondi, allora il fattore cruciale diventa forse la quantità di pratica giornaliera piuttosto che la lunghezza dell’intervallo di riposo tra le diverse presentazioni del materiale. Si pone in questo senso per noi nella progettazione dei percorsi di aula il problema della lunghezza del periodo di riposo compreso tra due blocchi di apprendimento, che deve lasciare al mittente uno spazio mentale adeguato allo stabilizzarsi delle mutazioni cerebrali.
1.4.4 Memoria e apprendimento
Abbiamo sottolineato come la sola ripetizione non garantisca l’apprendimento. Quello che è importante è ciò che il soggetto fa con il materiale che successivamente gli sarà chiesto di ricordare. La relazione tra tipo di elaborazione e memoria è stato molto studiato negli ultimi anni soprattutto con il lavoro di Craik e Lockhart [1972] sui livelli di elaborazione. Questo lavoro riprende il modello di Atkinson e Shiffrin riassumibile in: quanto più a lungo uno stimolo staziona nella Memoria a Breve Termine (MBT), tanto maggiore è la probabilità che esso venga trasferito nella Memoria a Lungo Termine (MLT) e quindi che la traccia duri più a lungo.
Craik e Lockhart, con cui ci sentiamo di concordare pienamente, aggiungevano che, piuttosto che concentrarsi su una visione strutturale della memoria, sarebbe stato più opportuno prendere in considerazione i processi che contribuiscono a ricordare. Gli autori ritenevano inoltre che l’elaborazione inizia ad un livello relativamente superficiale e procede poi verso livelli più profondi e ricchi. In termini di formazione questo convalida la modalità di aula non come mero riempimento di una MBT che forse non verrà mai consolidato in MLT, ma come aiuto al discente a trovare un modo efficace per ricordare, quindi il suggerimento, tramite momenti esperienziali e presentazione degli argomenti, di una modalità di memorizzazione.
Nella letteratura dello studio della memoria esistono diverse mnemotecniche:
- la semplice ripetizione: non procura soddisfazione e se è superficiale, l’oggetto viene presto dimenticato (non passa quindi dalla MBT alla MLT). In aggiunta, se qualcosa viene ripetuto meccanicamente e non ci interessa sarà difficile ricordarlo (sarà quindi nella MLT ma non riusciremo a recuperare l'informazione). E’ il caso di una pubblicità che la radio BBC fece per comunicare agli ascoltatori le nuove frequenze della radio. La semplice ripetizione dello spot alla radio non assicurò l’apprendimento. Non basta quante volte una persona ascolta un messaggio, se non lo elabora internamente passerà inosservato. Dopo due mesi di spot radiofonico in messaggio era così ripetitivo e noioso da essere ignorato automaticamente. In un contesto formativo avrà quindi molto più valore trovare modi diversi per sottolineare e ribadire gli stessi contenuti piuttosto che puntare alla semplice ripetizione degli stessi.
- ripetizione e organizzazione per chunks. Miller (1956) aveva coniato il termine chunking per indicare che il materiale da ricordare poteva essere organizzato in unità più ampie dotate di significato. Egli aveva individuato nel “magico numero 7 + o – due” la quantità di informazione che poteva essere ritenuta nella MBT. Miller osservò che tale numero era soggettivo e dipendeva anche dall’oggetto della memorizzazione, si riferisce al numero di unità raggruppate (chunks). Es. se devo memorizzare il numero di telefono 9 3 1 1 1 2 8 9 6, memorizzarlo a ripetizione mantenendo le unità per ciascuna cifra renderebbe la memorizzazione più complicata che se raggruppassi le cifre in chunks più grandi: 931 11 28 96.
- per associazione con cose già conosciute: rende l’informazione più facile da ritenere appaiando un concetto nuovo ad uno già noto al discente. Il metodo delle associazioni consiste nel creare un legame stabile tra due concetti, in modo che ricordando l’uno sia possibile ricordare anche l’altro. In tale prospettiva, apprendere significa stabilire intenzionalmente delle associazioni significative e ricordare significa ripercorrere agevolmente la rete complessa ed articolate di associazioni. Alcuni esempi di associazioni possono essere l'associazione tra la forma del numero ed oggetti concreti che si assomigliano, l'associazione tra il suono del numero ed oggetti che esso richiama, l'associazione tra le forme delle lettere alfabetiche ed oggetti concreti, l'associazione tra i numeri e le lettere dell’alfabeto, l'associazione tra numeri e date importanti, l'associazione tra i giorni della settimana, i mesi e le immagini concrete che li caratterizzano. In un contesto formativo si possono aiutare i discenti a fare delle associazioni proponendo già alcune soluzioni e invogliandoli a crearne di nuove per ricordare.
- per mediazione: se l’informazione da memorizzare è difficile, tra ciò che è più facile da comprendere e l’informazione. Ad esempio, il cartone animato “Siamo fatti così” che illustrava i funzionamenti del corpo umano rendeva l’apprendimento di informazioni in sé potenzialmente difficili da imparare, facili e divertenti grazie alla mediazione della presentazione e dei personaggi che parlavano e interpretavano varie parti e funzioni nel corpo umano. Su questa quarta modalità si basano i presupposti didattici, spostando il ruolo da insegnante a mediatore e facilitatore.
- per organizzazione delle informazioni: che possono essere sia suggerite da ciò che si deve ricordare o organizzate soggettivamente. Vedi il metodo dei loci per cui all’organizzazione di spazi conosciuti, come fosse la nostra casa, attribuiamo delle informazioni a ciascuna stanza e creiamo una mappa mentale con una sua organizzazione. Nel momento in cui si progetta un corso in sostanza si lavora al dare un senso all'esposizione dei contenuti, facendo in modo di renderli più facilmente apprendibili tramite una corretta organizzazione.
- per immagini: l’uso di immagini è molto potente per ricordare e creare collegamenti tra informazione nuova e già appresa, o tra 2 o più informazioni nuove da ricordare. Immagini colorate, in movimento, statiche, bizzarre aiutano a memorizzare meglio. Richardson, 1980: è provato che tutti possono utilizzare le immagini mentali. L’abilità di utilizzare le immagini mentali varia da individuo a individuo ma le potenzialità sono universali. E' facilmente intuibile il correlato tra questa mnemotecnica e l'uso di supporti visivi per fissare i concetti fondamentali.
1.4.5 Intenzionalità e apprendimento
Gli studi compiuti da Norman e collaboratori ci mostrano come la psicologia cognitivista studi i processi percettivi e quelli mnestici nella loro continua interazione in cui le decisioni del soggetto hanno però un ruolo fondamentale.
Quando si parla di interazione tra i processi si vuole esprimere un concetto secondo cui gli stadi individuati (acquisizione, archiviazione, recupero) non si succedono nel tempo in modo costante ma sono piuttosto momenti particolari di un flusso continuo di informazioni che si interrompe per decisione del soggetto dopo che, ad esempio, sono stati fatti diversi tentativi di recupero.
I fenomeni di attenzione selettiva e di pertinenza dimostrano che il processo di acquisizione non è un puro e semplice fenomeno di registrazione meccanica dello stimolo, ma l'ultimo atto di una complessa concatenazione di processi di analisi dello stimolo. Per questo l'impegno della formazione è il creare le condizioni per cui non ci sia una fruizione passiva del discente ma che sia lui stesso, con metodologie fortemente maieutiche, ad arrivare ai contenuti cardine dei percorsi formativi, in modo che questa sua elaborazione dello stimolo renda più efficace la sua memorizzazione.
Alle volte diciamo di aver dimenticato quando forse non abbiamo mai recepito qualcosa o non vi abbiamo mai posto attenzione cosciente sufficiente.
1.4.6 Emozione e apprendimento
"Le emozioni", sostiene John Anderson, "esercitano moltissimi effetti sul nostro apparato cognitivo, e uno dei loro ruoli è quello di stabilire gli obiettivi che vogliamo raggiungere".
Un'emozione, quindi, predispone ad una azione successiva; questo è l'elemento determinante che va tenuto presente nella attività formativa. Di fronte a un problema, a un obiettivo, ad un percorso che un discente si prefigge, possiamo avere due tipi di risultati. Può svilupparsi un immediato blocco cognitivo rispetto a quel progetto, con la conseguente formazione di emozioni di tipo negativo (frustrazione, ansia, insicurezza, ecc.). Nel migliore dei casi, ciò determina uno spostamento del progetto (non riesco a fare questa cosa e quindi la ristrutturo, la modifico, la ridimensiono; il progetto non è più quello ma qualche cosa di inferiore o di diverso). Nel peggiore dei casi, è il ritirarsi, il fuggire dalla situazione che crea ansia. In entrambi i casi si possono manifestare significative modifiche della propria autostima o tentativi di affermazione del proprio ruolo in modo aggressivo o completamente rifiutante.
Viceversa, se si riescono a intravedere i primi passi del percorso che si vuole intraprendere, i primi parziali successi in quella direzione, si ha una conferma delle capacità personali, si sviluppano emozioni di tipo positivo, di appagamento, di gioia, di soddisfazione, di sicurezza e ciò predispone alla tappa successiva, rafforzando la possibilità di procedere oltre.
E' inoltre dimostrato che le emozioni influiscono in modo significativo sulla capacità di memoria del discente: il recall di una informazione appare molto più semplice se l'emozione che sto provando al momento del recupero è la stessa che provavo al momento dell'immagazzinamento.
Molte persone ricordano cosa stavano facendo l'11 settembre 2001, mentre pochi ricordano cosa c'era per cena due sere prima. Perché è più facile ricordare un episodio che coincide con un forte momento emotivo rispetto ad uno che si compie abitualmente?
La risposta arriva dalle neuroscienze. Recentemente un gruppo di ricercatori americani dell'Università del Wisconsin, utilizzando tecniche come la risonanza magnetica funzionale, hanno dimostrato come la sola aspettativa di andare incontro ad un'esperienza negativa o poco piacevole attiva due importanti aree cerebrali che favoriscono la memoria. Il nostro cervello anticipa continuamente il corso degli eventi, con lo scopo di garantire una continuità fra passato, presente e futuro; ovviamente tutto questo scorrere di pensieri è basato sulla propria memoria e teso -nell'incoscienza- al mondo dei sogni.
I ricercatori hanno individuato due regioni del nostro cervello che sono molto attive durante un evento emotivo e nel pensiero dello stesso: amigdala e ippocampo (l'amigdala è da tempo stata associata al consolidamento della memoria emotiva e l'ippocampo è essenziale nella memoria episodica a breve termine).
Poiché l'ippocampo si occupa della funzione di selezionare le informazioni da trasferire nella memoria secondaria, ne deriva che l'apprendimento e l'oblio sono notevolmente influenzate dalle emozioni positive e negative. Se si prova disgusto per una materia, la possibilità di apprenderla è scarsa. Un apprendimento di base positivo (apprendimento giocoso) stimola il ritmo di trasferimento nella memoria secondaria, al contrario un atteggiamento negativo rende più difficile l'apprendimento. Un atteggiamento positivo può nascere spontaneamente, ma può essere notevolmente incrementato stimolando la motivazione, anche l'auto-motivazione.
1.5 Teorie dell'apprendimento e formazione
Berelson e Steiner definiscono l'apprendimento come “cambiamenti nel comportamento derivanti da precedenti comportamenti in situazioni analoghe” , in questa ottica la formazione avrebbe il compito di influenzare i cambiamenti successivi e anche, di conseguenza, gli apprendimenti successivi. In questo senso per il formatore l'apprendimento porta con sé i seguenti aspetti per i discenti:
- conoscere intellettivamente o concettualmente qualcosa che prima non si conosceva;
- essere capace di fare qualcosa che prima non si era in grado di fare;
- combinare due elementi appresi in una nuova comprensione;
- essere capaci di applicare una nuova combinazione;
- essere capace di capire e applicare ciò che si conosce.
Noi tendiamo a pensare che un formatore interessato veramente all'apprendimento debba, più che votarsi ad una teoria soltanto come unico riferimento paradigmatico, essere in grado di monitorare continuamente i feedback impliciti ed espliciti dei discenti, tenendo sempre sotto controllo il loro livello di apprendimento. Questo porterà un osservatore attento ad acquisire un expertise spendibile dalla fase della progettazione degli interventi formativi alla loro erogazione, in una ottica di miglioramento continuo.
2. ANDRAGOGIA
Le considerazioni fatte fino qui valgono per qualunque tipo di apprendimento, ma noi sappiamo che la formazione aziendale va ad incidere sulle conoscenze di soggetti adulti, che hanno anche nel processo di formazione delle loro specificità.
L'andragogia è una teoria unitaria dell'apprendimento ed educazione degli adulti. Il termine è stato coniato in contrapposizione a quello di pedagogia che deriva dal greco παῖς pais, bambino, e ἄγω ago, condurre. Si tratta di un modello incentrato sulla comprensione della diversità di bisogni e interessi di apprendimento degli adulti rispetto ai bambini, che ha trovato in Malcom Knowles il suo massimo esponente.
L’educazione degli adulti è stata probabilmente la primissima forma di educazione sistematica. Tutti i grandi maestri dei tempi antichi insegnavano ad adulti e non ai bambini. Grazie alle loro esperienze con gli adulti questi maestri consideravano l'apprendimento un processo di ricerca attiva, non come una ricezione passiva di contenuti, ed inventarono di conseguenza tecniche per coinvolgere attivamente i discenti.
l contrario le prime scuole apparse in Europa nel VII secolo avevano come scopo principale l'indottrinamento ai dogmi della fede di monaci e sacerdoti, per cui elaborarono metodologie diverse. La pedagogia che ne è derivata attribuisce all'insegnante la piena responsabilità delle decisioni riguardo ai contenuti, le modalità e la valutazione di tutto quello che verrà appreso. Si tratta di un'istruzione guidata dal docente, che lascia al discente il solo ruolo subordinato di seguire le istruzioni dell'insegnante.
Il termine andragogia venne ufficialmente coniato nel 1833 in Germania, ad opera di Alexander Kapp, e quindi riconsiderata in Germania, Olanda, Gran Bretagna e negli Stati Uniti solamente più di un secolo dopo.
Numerose ricerche (Bruner, 1961; Erikson, 1964; Getzel e Jackson, 1962; Bower e Hollister, 1967; Cross, 1981; Iscoe e Stevenson, 1960; Robinson, 1988; Smith, 1982; Stevenson-Long, 1979; White, 1959) fanno ipotizzare che, man mano che gli individui maturano, il loro bisogno e la loro capacità di essere autonomi, di utilizzare la loro esperienza di apprendimento, di riconoscere la loro disponibilità ad apprendere e di organizzare il loro apprendimento attorno a problemi della vita reale crescano costantemente dall'infanzia fino alla preadolescenza e poi assai rapidamente durante l'adolescenza. In rapporto con un alto grado di indipendenza la pedagogia viene applicata in modo inappropriato.
2.1 La teoria di Knowles
La teoria andragogica sviluppata da Knowles si basa sui seguenti presupposti fondamentali:
1. Il bisogno di conoscere: gli adulti sentono l'esigenza di sapere perché occorra apprendere qualcosa. Tough (1979) ha scoperto che quando gli adulti iniziano ad apprendere qualcosa per conto loro investono una considerevole energia nell'esaminare i vantaggi che trarranno dall'apprendimento. Il primo compito del facilitatore dell'apprendimento è aiutare i discenti in questo risveglio di consapevolezza.
2. Il concetto di sé del discente: man mano che una persona matura e diventa adulta, il concetto di sé passa da un senso di totale dipendenza ad un senso di crescente indipendenza ed autonomia. L'adulto deve sentire che il proprio concetto di sé viene rispettato dall'educatore e quindi deve essere collocato in una situazione di autonomia (contrapposto a una situazione di dipendenza).
3. Il ruolo dell'esperienza: la maggiore esperienza degli adulti assicura maggiore ricchezza e possibilità d'utilizzo di risorse interne. Qualsiasi gruppo di adulti sarà più eterogeneo - in termini di background, stile di apprendimento, motivazioni, bisogni, interessi e obiettivi - di quanto non accada in gruppi di giovani. Da qui deriva il grande accento posto nella formazione degli adulti sull'individualizzazione delle strategie d'insegnamento e di apprendimento, sulle tecniche esperienziali piuttosto che trasmissive e sulle attività di aiuto tra pari. La maggiore esperienza può avere anche tratti negativi nel senso di una maggiore rigidezza negli abiti mentali, delle prevenzioni, delle presupposizioni e nella chiusura rispetto a idee nuove e diverse modalità di approccio. Un'altra ragione che sottolinea l'importanza dell'esperienza è che, mentre per i bambini l'esperienza è qualcosa che capita loro, per gli adulti essa rappresenta chi sono. Essi cioè tendono a derivare la loro identità personale dalle loro esperienze.
4. La disponibilità ad apprendere: quanto viene insegnato deve migliorare le competenze e deve poter essere applicato in modo efficace alla vita quotidiana.
5. L'orientamento verso l'apprendimento: non deve essere centrato sulle materie ma sulla vita reale. Gli adulti infatti apprendono nuove conoscenze, capacità di comprensione, abilità e atteggiamenti molto più efficacemente quando sono presentati in questo contesto. Questo punto ha un'importanza cruciale nelle modalità di esposizione dell'insegnante, nella definizione di obiettivi e contenuti e nella progettazione più generale dell'intervento formativo.
6. La motivazione: nel caso degli adulti le motivazioni interne sono in genere più forti delle pressioni esterne. Tough (1979) ha scoperto che tutti gli adulti sono motivati a continuare a crescere e a evolversi, ma che questa motivazione spesso viene inibita da barriere quali un concetto negativo di sé come studente, l'inaccessibilità di opportunità o risorse, la mancanza di tempo e programmi che violano i principi dell'apprendimento degli adulti. In questo gioca anche un ruolo fondamentale la promozione dell'autodeterminazione, soddisfacendo i bisogni psicologici innati di competenza, autonomia e relazione. La competenza consiste nel sentirsi capaci di agire sull'ambiente sperimentando sensazioni di controllo personale. L'autonomia si riferisce alla possibilità di decidere personalmente cosa fare e come. Il bisogno di relazione riguarda la necessità di mantenere e costituire legami in ambito sociale.
Il modello andragogico, secondo la concezione di Knowles, non è un'ideologia ma un sistema di diverse ipotesi alternative.
Dopo la pubblicazione del 1970 all'autore vennero comunicate le esperienze di numerosi insegnanti delle scuole elementari e medie che applicavano in alcuni contesti il modello con successo e formatori di adulti che invece sostenevano che tale modello non funzionava. Questo significa che i formatori hanno la responsabilità di verificare quali ipotesi siano realistiche in una data situazione. Per esempio, quando i discenti sono molto dipendenti (come quando entrano in un'area contenutistica totalmente estranea), quando non hanno mai avuto in effetti esperienza con una certa area di contenuti, quando non ne comprendono la pertinenza con i compiti o i problemi della loro vita reale, quando hanno bisogno di accumulare un certo insieme di contenuti base per una determinata performance e quando non avvertono il bisogno di apprendere quel contenuto, allora bisogna insegnare loro applicando il modello pedagogico.
2.2 I modelli di educazione degli adulti
Proviamo ad elaborare molto rapidamente una tassonomia dei modelli di Educazione degli Adulti, nella convinzione che la prassi educativa debba fare i conti con il quadro ampio e complesso delle possibili scelte pedagogiche.
2.2.1 Modello pedagogico
La formazione come incremento di conoscenze e abilità in vista dell'esercizio di una professione o di un ruolo. Centrato sull'insegnamento scolastico. Fa riferimento alle Tassonomia di Bloom e al modello dell'apprendimento gerarchico di Gagné. Può essere impostato secondo un approccio lineare (tradizione modello scolastico), oppure su di un approccio modulare (teoria del curricolo della scuola di Bloom).
2.2.2 Modello andragogico
Formazione mirata all'adulto come persona che deve modificare se stessa rispetto agli obiettivi e ai ruoli cui è chiamata. È centrato sulla validità dei processi piuttosto che sui contenuti. La conoscenza è prima di tutto ristrutturazione di saperi e di comportamenti. Può essere impostato secondo 4 approcci:
- approccio psicosociale: quando l'obiettivo è il miglioramento dell'individuo attraverso il miglioramento delle capacità di comunicazione tra l'individuo e il gruppo
- approccio clinico: nasce dall'applicazione di modelli psicoanalitici al gruppo piuttosto che all'individuo
- approccio sviluppo organizzativo: il formatore lavora direttamente sul posto di lavoro, opera sulla diagnosi delle problematiche dell'impresa e sul supporto individuale per il management, intervenendo sui gruppi, sulle relazioni tra gruppi e sui compiti.
- approccio apprendimento organizzativo: basata sulla lettura dell'ambiente, cioè dei contesti culturali, organizzativi dell'impresa. Muove dalle teorie eco-psicologiche di Bateson
2.2.3 Modello tecnologico
Centrato sull'uso delle nuove tecnologie intese come ambiente formativo di forte impatto per l'allievo ma anche capacità di creare nuovi spazi di apprendimento (dall'ipertestualità, alla registrazione, produzione video, programmazione ecc.). Il ruolo centrale viene assegnato al mezzo stesso, intendendo la multimedialità come aula multimediale oppure come sinergia di "atomi mediali" in grado di creare dei micromondi formativi. Si sottolinea l'importanza di considerare le tecnologie in relazione alla loro funzionalità nel raggiungimento di un determinato obiettivo formativo. Fermo restando quindi, che debbano essere utilizzate solo qualora rappresentino la soluzione migliore, le tecnologie multimediali consentono l'uso integrato di canali differenti, favoriscono la comunicazione bidirezionale e permettono la trattazione di argomenti che con tecnologie tradizionali non potrebbero essere affrontati.
2.2.4 Modello socio-educativo
Centrato sull'idea della formazione come contributo al sociale e sviluppo delle capacità del singolo di intervenire su di esso. Finalizza la formazione al potenziamento della capacità euristica del soggetto nel suo impegno sociale, alla creazione di consapevolezza e maturità nell'individuo perché diventi promotore e attore del cambiamento sociale e organizzativo.
2.3 Apprendimento esperienziale
Parlando di Andragogia, il modello di apprendimento esperienziale elaborato da Kolb ci sembra particolarmente utile nell'ambito della formazione aziendale. Secondo questo modello l'apprendimento sarebbe un processo circolare a 4 stadi:
1. esperienza concreta di una data realtà che avvia e conclude il processo di apprendimento;
2. osservazioni e riflessioni, relative all'esperienza, che vengono effettuate analizzando la stessa da differenti prospettive a seconda del proprio campo percettivo (schemi di riferimento operativi e concettuali);
3. formulazione di concetti astratti atti ad integrare le osservazioni e le riflessioni precedenti in teorie preesistenti e a dar loro un significato di generale validità;
4. verifica empirica delle teorie formulate attraverso la sperimentazione della estensibilità di tali teorie in nuove situazioni di decisione.
Ogni stadio del modello corrisponde ad una diversa attitudine all'apprendimento, quindi:
a. concretezza
b. riflessione
c. astrazione
d. azione
Ogni individuo, quando compie l'intero processo di apprendimento, passa attraverso questi 4 stadi con i suoi ritmi e le sue specifiche modalità individuali.
Partendo da questi presupposti e dalle riflessioni di Kolb, teniamo conto dello stile di apprendimento secondo la seguente tassonomia:
- "converger": caratterizzato da punteggi elevati di azione e di astrazione, portato all'applicazione pratica dei concetti;
- "diverger": caratterizzato da punteggi elevati di concretezza e di riflessione, portato all'immaginazione creativa ed emotiva ed interessato ai problemi umani piuttosto che tecnici;
- "assimilator": caratterizzato da punteggi elevati di astrazione e di riflessione, portato alla creazione di modelli teorici attraverso l'osservazione e l'induzione, ma scarsamente interessato alla loro applicazione;
-"accomodator": caratterizzato da punteggi elevati di concretezza e di azione, portato alla realizzazione e all'adattamento rispetto alla realtà circostante.
Lo scopo di questa tassonomia è massimizzare l'efficacia della formazione adeguando la trasmissione dei contenuti allo stile di apprendimento dei discenti.
2.4 La gerarchia degli apprendimenti di Gagnè
Alla base di questa classificazione sta la necessità di rapportare la scelta degli obiettivi ad una ipotesi concreta dei diversi tipi di apprendimento. La tipologia non è di natura qualitativa, ma strumentale. I livelli in ordine gerarchico sono:
1. apprendimento di segnali. Si reagisce in modo emotivo ed automatico a certi segnali. Condizione: presenza ravvicinata dei due stimoli, quello che dà il segnale e quello che produce l'effetto;
2. apprendimento di connessioni stimolo-risposta. Condizione: l'esercizio deve essere graduale e deve collegarsi ad una azione di rinforzo positivo (la presenza di una guida);
3. concatenamenti. Si apprendono sequenze di più connessioni stimolo-risposta. Condizione: ogni anello della catena deve essere stato acquisito e presentarsi in contiguità con il successivo esercizio;
4. associazione verbale. Condizione: si crea una associazione tra il primo elemento verbale e il secondo, inserendo un codificante che fa da mediazione;
5. apprendimento di discriminazioni: si impara a dare risposte differenti a stimoli apparentemente omogenei. Condizione: presenza di catene specifiche che consentono il riconoscimento degli stimol
6. apprendimento di concetti: opposto del precedente, porta a dare una risposta comune a stimoli diversi. Condizione: un'ampia varietà di esperienze ed esercizio;
7. apprendimento di regole: si realizzano catene di concetti dando luogo a principi. Condizione: possesso dei concetti, esercizio;
8. problem solving: si arriva a combinare una serie di regole e si risolvono problemi di tipo nuovo. Condizione: si possiedono i principi essenziali e ci si addestra alle loro combinazioni.
2.5 Elaborazione di un modello andragogico
Incontrando la committenza e cercando di comprenderne le logiche e le richieste, ci siamo imbattuti, nelle aziende, in modi diversi di passare dei contenuti, tra i quali:
a. L'informazione: indica ogni comunicazione di un dato fatto ad un'altra persona. E' un'attività che si propone l'aumento o il miglioramento delle conoscenze rispetto ad un dato argomento. L'azione formativa di una informazione dipende dal fatto e dalla misura in cui l'informato assimila l'informazione stessa. Essendo una assunzione di conoscenze, interessa quasi esclusivamente i processi cognitivi. Le ricerche di psicologia dell'apprendimento e di psicopedagogia sperimentale suggeriscono quali sono le modalità meno efficaci per utilizzare l'informazione:
- una forte tensione emotiva ed ansietà che rendono il soggetto più incline alla fissità funzionale;
- la fissità funzionale, cioè il fenomeno che consiste nel considerare un oggetto nel suo significato convenzionale, quando esso invece va esaminato in un contesto diverso;br>
- la necessità di adattare l'informazione al criterio che il discente adotta per risolvere un dato problema;
- l'informazione negativa, cioè l'informazione su ciò che qualcosa non è, che si dimostra particolarmente inutile a chi cerca di afferrare un concetto.
b. l'istruzione: si riferisce a una trasmissione di nozioni, sostenuta da un intento educativo. Essa rappresenta un processo pianificato ed è il risultato dell'interazione di più momenti: la persona che istruisce, l'argomento dell'istruzione, l'allievo. Lo psicologo americano Bruner (1967) ha elaborato una “teoria dell'istruzione”, una teoria prescrittiva in quanto formula regole concernenti il modo più efficace per raggiungere una determinata conoscenza o abilità normativa fornendo dei criteri e stabilendo delle condizioni per soddisfarla. Bruner sostiene che l'istruzione è una situazione provvisoria, giacché il suo scopo è rendere autosufficiente l'allievo e il docente ha il compito di correggere il discente in una forma che consenta a quest'ultimo, alla fine del processo di insegnamento, di assumere personalmente questa funzione correttiva.
La teoria elaborata da Bruner mira a migliorare il processo dell'apprendimento (piuttosto che a descriverlo) attraverso quattro principali obiettivi:
1. stabilire quali esperienze siano più atte a generare nell'individuo una predisposizione ad apprendere
2. specificare il modo in cui un insieme di cognizioni deve essere strutturato perché sia prontamente compreso dal discente (l'efficacia di una struttura dipende dalla sua capacità di semplificare l'informazione, di generare nuove proposizioni e di rendere più maneggevole un insieme di cognizioni)
3. specificare la progressione ottimale con cui va presentato il materiale che deve essere appreso
4. specificare la natura e il ritmo delle ricompense e delle punizioni nel processo di insegnamento e di apprendimento
La predisposizione ad apprendere, puntualizza Bruner, è legata alla regolazione del comportamento di ricerca: attivazione, mantenimento e direzione. L'esplorazione di possibili alternative, in sostanza, richiede uno stimolo che la metta in moto, un interesse che la alimenti e un criterio che le impedisca di procedere alla cieca. Dato che ogni attitudine si concettualizza per una parte importante in termini di “attività interiorizzata”, Bruner condivide l'assunto piagetiano che “le attività che si eseguono nell'ambiente fisico finiscono per interiorizzarsi e divenire operazioni mentali”
c. l'addestramento: si riferisce alla acquisizione di abilità (skills) operative manuali o intellettuali. Esso implica una funzione formativa e sistematica intesa a modificare nel tempo, secondo un programma predeterminato, il comportamento delle persone sul lavoro, il “saper fare”. utti i processi di addestramento fondano le loro basi sui meccanismi psicologici dell'apprendimento. Nell'educazione degli adulti l'addestramento è una particolare attività educativa volta a soddisfare il bisogno di apprendere il corretto uso pratico di apparecchiature e di dispositivi o di procedure. Le attività di addestramento devono avvenire in contesti che siano progressivamente assimilabili a quelli che caratterizzano la reale prestazione lavorativa richiesta. Esso va abbinato a disponibilità di informazioni e di istruzioni e a attività di verifica della comprensione.
d.la formazione:essa è una attività educativa rivolta a persone adulte per acquisire skill di base o conoscenze generali, è uno dei mezzi più proficuamente utilizzati per facilitare i processi di apprendimento degli adulti. La formazione tende allo sviluppo complessivo delle potenzialità e all'aumento delle capacità psichiche, con particolare riguardo alla sfera emotiva e al cambiamento degli atteggiamenti. Essa agisce sulla sensibilità, sugli atteggiamenti, sulle potenzialità dei lavoratori e si identifica con l'intervento psicosociale. Secondo una classica definizione dello psicologo sociale francese Goguelin (1973) “l'informazione è un 'sapere' (area cognitiva); l'addestramento un 'saper fare' (area operazionale) e la formazione un 'saper essere' (area comportamentale)”. Il programma di formazione dei lavoratori va inserito organicamente in una strategia aziendale che comprenda anche l'individuazione di eventuali ostacoli organizzativo-relazionali al cambiamento. Disporre di personale opportunamente informato, formato, istruito, addestrato ed equipaggiato è una opportunità aziendale. In relazione a quanto analizzato, riteniamo elementi fondamentali della creazione di un modello andragogico i seguenti:
In relazione a quanto analizzato, riteniamo elementi fondamentali della creazione di un modello andragogico i seguenti:
1. Assicurare un clima favorevole all'apprendimento. Sia dal punto di vista delle strutture (funzionali, accoglienti, ...), sia dal punto di vista delle risorse (ricche, utilizzabili, ...), sia dal punto di vista dell'organizzazione (funzionale, non gerarchica, comunicativa, ...).
Si potrebbe pensare che la lezione frontale erogata agli adulti possa essere di più facile progettazione in quanto erogata a soggetti meno bisognosi di essere stimolati all'attenzione e alla partecipazione in quanto più maturi ma non è del tutto esatto. Anche il discente adulto necessita di accorgimenti particolari e più il cambiamento che si vuole andare ad operare nel discente tocca i valori e le credenze radicate più il fattore di contesto della formazione assume una importanza maggiore. Per questo all'aula tradizionale si tendono ad affiancare metodologie quali l'outdoor che facilitano la messa in discussione del proprio punto di vista.
2. Creare un meccanismo per la progettazione comune. Ogni intervento formativo si regge su regole strutturate e buone prassi in modo che il singolo progettista o il singolo formatore possano poggiare le loro scelte e il loro comportamento su un know how condiviso e adeguato senza dover rischiare una improvvisazione che vede già nella sua irreplicabilità una sicura poca congruenza con una attività, quale quella formativa, che vede nella replicabilità un presupposto cardine.
3. Diagnosticare i bisogni di apprendimento. Elaborando un modello delle competenze. Valutando le discrepanze tra il modello delle competenze e il livello di sviluppo attuale dei discenti e quindi formulando degli obiettivi di apprendimento.
4. Progettare un modello di esperienze di apprendimento. Non il semplice "programma" ma un vero e proprio progetto d'apprendimento, fondato su una serie di episodi tra loro correlati.
5. Metterenin atto il programma (gestire le attività di apprendimento). La gestione dell'aula è quanto di meno scontato possa esistere nel panorama della formazione, stili di aula diversi cambiano completamente l'efficacia del corso e la sua fruibilità. Per questo è indispensabile allineare i formatori adeguando di volta in volta lo stile da tenere in aula al percorso e ai discenti specifici.
6. Valutare il programma. Tutti i percorsi didattici devono essere validati per permettere di valutare il programma didattico e le sue implicazioni, di limare lo stile di aula e l'organizzazione dei contenuti, oltre che di verificare i tempi e le modalità delle esercitazioni.
3 ANDRAGOGIA A DISTANZA
Sempre più spesso, allo scopo di risparmiare sui tempi della didattica, si ricorre in misura crescente all’e-learning, a completamento o addirittura in sostituzione delle lezioni frontali. Ci chiediamo innanzitutto quale possa essere l'efficacia di questa modalità e in cosa si differenzi dalla andragogia in presenza.
Ripartiamo un momento dalle teorie sulla memoria. Abbiamo detto che la memoria di lavoro è la memoria attiva, in cui vengono generate le idee e in cui ha luogo l’apprendimento. Questo tipo di memoria ha una capacità molto limitata. Quando la memoria di lavoro viene occupata con quantità seppur minime di informazioni, la sua capacità di elaborazione diminuisce rapidamente.
La memoria a lungo termine dispone invece di un’ampia capacità di informazioni e funge da archivio di conoscenze e ricordi. È per questo motivo che l’e-learning rappresenta uno strumento didattico efficace: proprio perchè permette di apprendere i concetti essenziali, senza appesantire la memoria di lavoro e contemporaneamente favorisce l’immagazzinamento delle informazioni nella memoria a lungo termine.
A supporto di queste convinzioni, secondo una recentissima scoperta di Sander Daselaar dell'Università di Amsterdam e di Roberto Cabeza della Duke University pubblicata su PLoS Biology il 14 gennaio 2009, si è dimostrato che per ricordare o imparare è presente una leva di scambio che alterna due binari separati, l'uno che permette di apprendere e l'altro che permette di ricordare.
Nell'ambito dello studio, i ricercatori hanno monitorato il cervello di un gruppo di giovani con la risonanza magnetica funzionale mentre i volontari erano alle prese con un gioco, in cui dovevano imparare delle parole e contemporaneamente ricordare immagini. È emerso prima di tutto che le due attività svolte insieme mandano in tilt il cervello che non si mostra capace di portarle a termine contemporaneamente. Si è poi anche visto che quando si passa dalla modalità apprendimento a quella memoria, o viceversa, si attiva una regione della parte frontale sinistra del cervello, una leva di scambio che gli permette di passare rapidamente dalla funzione memoria a quella apprendimento e viceversa.
In altri termini il ricordo di un'informazione sembra inibire l'apprendimento di una nuova informazione che si presenti contestualmente all'attenzione del soggetto. Alla risonanza magnetica questo esito cognitivo si è tradotto, in caso di successo nel ricordo delle parole, in una minor attivazione delle aree temporali coinvolte nell'apprendimento.
Da questo studio deriva che il metodo più efficace per la comprensione e la memorizzazione delle lezioni sarà quello di distinguere nettamente le due fasi: in un primo momento occorrerà concentrarsi sulla comprensione dei concetti, eventualmente supportati anche dalla memoria visiva di una immagine, mentre in un secondo momento ci si concentrerà a ricordare e memorizzare i concetti già assimilati.
L’e-learning risulterà secondo noi efficace quindi in quanto permetterà di rivedere più volte i contenuti con modalità diverse per rafforzare sia la memoria di lavoro che la memoria a lungo termine. Nella citata indagine di Matthew P. Murgio, si erano già scoperte particolari modalità funzionali della nostra memoria. Risultati maggiori si ottengono parlando, scrivendo e applicando ciò che si è imparato.
Ne consegue che le capacità mnemoniche individuali vengono utilizzate al meglio con l’e- learning se le lezioni possono essere riviste più volte (50%), se esistono modalità di autoverifica e di condivisione che stimolino l’interazione (70%), se sono previste esercitazioni che permettano di applicare i concetti acquisiti (90%).
Andando a riprendere i vari paradigmi dell'apprendimento analizzati in apertura di questo lavoro, per l'andragogia a distanza crediamo che il paradigma costruttivista ci offra i maggiori spunti nel suo porre il soggetto che apprende al centro del processo formativo (learning centered). In alternativa ad un approccio educativo basato sulla centralità dell'insegnante (teaching centered) quale depositario indiscusso di un sapere universale, questa corrente di pensiero assume che la conoscenza:
- è il prodotto di una costruzione attiva da parte del soggetto;
- è strettamente collegata alla situazione concreta in cui avviene l'apprendimento;
- nasce dalla collaborazione sociale e dalla comunicazione interpersonale.
Non esistono quindi conoscenze "giuste" e conoscenze "sbagliate", come non esistono stili e ritmi di apprendimento ottimali. Il nostro sforzo più grande rimane quello di rimanere all'interno del paradigma di Bruner (1992) secondo cui la conoscenza è un "fare il significato", vale a dire è un'operazione d'interpretazione creativa che lo stesso soggetto attiva tutte le volte che vuole comprendere la realtà che lo circonda.
Accettare e promuovere l'inevitabile confronto derivante da più prospettive individuali è uno degli scopi fondamentali di chi progetta la formazione tanto che l'apprendimento non deve più essere visto solo come un'attività personale, ma come il risultato di una dimensione collettiva d'interpretazione della realtà. La nuova conoscenza si costruisce non solo in base a ciò che è stato acquisito in passate esperienze ma anche e soprattutto attraverso la condivisione e negoziazione di significati espressi da una "comunità di interpreti".
L'apprendimento diventa quindi significativo (Jonassen, 1994), il fine ultimo non è l'acquisizione totale di specifici contenuti prestrutturati e dati una volta per tutte, bensì l'interiorizzazione di una metodologia d'apprendimento che renda progressivamente il soggetto autonomo nei propri processi conoscitivi.
Il costruttivismo non ha sviluppato un modello didattico univoco, valido in assoluto, ma piuttosto si limita ad indicare una serie di presupposti che devono essere rispettati per poter rendere l'attività formativa realmente rispondente alle esigenze contingenti.
Per produrre conoscenza a distanza occorre pertanto creare un “ambiente di apprendimento”, il che, come sostiene Jonassen, è molto più difficile che progettare una serie di interventi didattici tradizionalmente intesi.
"Questo perché non esistono modelli predefiniti per ambienti d'apprendimento costruttivistici, e per molti non potranno neanche mai esistere, in quanto i processi di costruzione della conoscenza sono sempre inseriti in contesti specifici. Così le tipologie di supporto all'apprendimento programmate in un dato contesto con ogni probabilità non potranno mai essere trasferite in un altro"(Jonassen, 1994).
Concordiamo con la serie di raccomandazioni fondamentali che un ambiente d'apprendimento di questo tipo dovrebbe, secondo Jonassen, sempre promuovere:
- dare enfasi alla costruzione della conoscenza e non alla sua riproduzione
- evitare eccessive semplificazioni nel rappresentare la complessità delle situazioni reali
- presentare compiti autentici (contestualizzare piuttosto che astrarre)
- offrire ambienti di apprendimento derivati dal mondo reale, basati su casi, piuttosto che sequenze istruttive predeterminate
- offrire rappresentazioni multiple della realtà
- favorire la riflessione e il ragionamento
- permettere costruzioni di conoscenze dipendenti dal contesto e dal contenuto
- favorire la costruzione cooperativa della conoscenza, attraverso la collaborazione con altri
Si deve permettere al discente di attivare un'esplorazione attiva consona con i propri interessi e/o motivazioni all'apprendimento di nuove conoscenze.
Tutto ciò non significa che si promuove un processo di autoapprendimento, ma che è la stessa struttura dei materiali offerti e delle attività didattiche promosse, che innescano un processo conoscitivo rilevante per lo stesso soggetto: l'esperienza d'apprendimento si basa su di un processo di riadattamento flessibile della conoscenza preesistente in funzione dei bisogni posti dalla nuova situazione formativa.
Lo studio dei casi, il problem-solving e le simulazioni sono ad esempio delle ottime strategie didattiche. Anche quando la formazione è finalizzata alla memorizzazione di concetti o definizioni, la loro applicazione in un'attività pratica riesce a farli interiorizzare in maniera estremamente semplice.
Presentare più fattori significativi in una situazione "problematica", sviluppa inoltre nello studente un'attività d'indagine funzionale alla produzione di decisioni efficaci.
Rielaborare le conoscenze possedute in funzione alle nuove esigenze promuove un pensiero creativo.
In un gruppo di lavoro e/o d'apprendimento cooperativo il fatto di poter scambiarsi nuove idee e opinioni, attraverso la condivisione di competenze diversificate, aumenta la capacità di trovare soluzioni ottimali nel minor tempo possibile
Se dovessimo trovare una formula per combattere la sfida alla competitività crescente penseremmo a dotare il soggetto di una metodologia conoscitiva che sviluppa progressivamente capacità metacognitive e un pensiero critico.
In campo formativo l'enfasi sul cooperative learning e sulle communities of learning trovano ampio spazio e opportunità inedite nelle nuove tecnologie educative.
La telematica diviene quindi sinonimo di tool che permette di accedere ad innumerevoli risorse, nonché "amplificatore" in quanto trattasi di un tool collaborativo: i contenuti non sono più recepiti da un'unica fonte ma vengono articolati ed "edificati" attraverso forme di comunicazione interpersonali funzionali all'attivazione di un pensiero critico, riflessivo e condiviso.
Le tecnologie offrono oggi la possibilità di rispettare e enfatizzare l'individualità del soggetto che apprende in uno spazio-tempo indipendente ma allo stesso tempo coinvolgente all'interno di una comunità d'apprendimento ricca di stimoli.
Le tecnologie di rete ed i canali telematici di comunicazione, agevolando la possibilità di interazione a distanza, rendono possibile l'allestimento di laboratori di cooperazione e collaborazione tra "protagonisti distanti" del processo educativo. In altri termini le tecnologie di rete costituiscono l'impalcatura (scaffolding) di un processo di apprendimento che si realizza in un ambiente didattico dove il sapere è distribuito anche in tali tecnologie ed il lavoro viene svolto collaborativamente anche attraverso tali tecnologie. Le riflessioni educative sulle facilitazioni introdotte dalle tecnologie di rete nel lavoro di gruppo, incontrandosi con l'influenza teorica di Vygotskij, hanno determinato la definizione di un'area di studi nota come CSCL (Computer Support Collaborative Learning) in cui al modello tradizionale di classe e di apprendimento individuale si sostituisce (noi preferiamo “si affianca”) il modello di comunità di apprendimento (Communities of Learning, Knowledge Building Communities...) in cui i membri del gruppo si pongono come comune obiettivo la costruzione di una conoscenza condivisa e distribuita.
Tenendo conto dell'aspetto emozionale trattato a proposito dei suoi correlati con l'apprendimento, l'interazione con l’interfaccia di un ambiente informatico, magari umanizzata dall’intervento della voce, per quanto amichevole ed emozionante, è comunque più “neutra” e meno ricca rispetto alla complessità di fattori che nel rapporto interpersonale sono sempre presenti.
Non si mette in gioco il proprio ruolo e non si è costretti a sostenerlo, non c’è il problema della definizione di gerarchie, la propria autostima non è pesantemente minacciata, l’eventuale errore non spaventa.
Alcune ricerche (cfr. Bettettini) hanno evidenziato interessanti effetti cognitivi dell’interazione col computer.
- Una minore sensazione di essere giudicati, determinata dalla verifica immediata dell’errore e quindi un suo utilizzo più sereno nel processo di apprendimento
- Una minore consapevolezza dell’interlocutore; nel reagire ai feed-back del video il comportamento è meno condizionato dalla “pressione” che comunque sentiamo in un rapporto interpersonale
- Una dimensione ludica, inevitabilmente sviluppata nell’interazione col PC, che tende a produrre un atteggiamento di deresponsabilizzazione.
Una buona progettazione di interventi andragogici a distanza dovrà quindi necessariamente rendere conto anche di un tentativo di “emozionalizzare” il mezzo, fare in modo che l'expertise acquisito nell'interazione in presenza caratterizzi anche interventi a distanza ottimizzandone la fruizione per il discente.